Didone abbandonata, Parigi, Hérissant, 1780

 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Porto di mare con navi per l’imbarco di Enea.
 
 ENEA con seguito di troiani
 
 ENEA
 Compagni invitti, a tollerare avvezzi
 e del cielo e del mar gl'insulti e l'ire,
 destate il vostro ardire,
 che per l'onda infedele
1020è tempo già di rispiegar le vele.
 Andiamo, amici, andiamo.
 Ai troiani navigli
 fremano pur venti e procelle intorno;
 saran glorie i perigli;
1025e dolce fia di rammentarli un giorno.
 
 SCENA II
 
 IARBA con seguito di mori e detti
 
 IARBA
 Dove rivolge, dove
 quest'eroe fuggitivo i legni e l'armi?
 Vuol portar guerra altrove?
 O da me col fuggir cerca lo scampo?
 ENEA
1030Ecco un novello inciampo.
 IARBA
 Per un momento il legno
 può rimaner sul lido.
 Vieni, se hai cor; meco a pugnar ti sfido.
 ENEA
 Vengo. Restate, amici, (Alle sue genti)
1035che ad abbassar quel temerario orgoglio
 altri che il mio valor meco non voglio.
 Eccomi a te. Che pensi?
 IARBA
 Penso che all'ira mia
 la tua morte sarà poca vendetta.
 ENEA
1040Per ora a contrastarmi
 non fai poco se pensi. All'armi.
 IARBA
                                                          All'armi. (Mentre si battono e Iarba va cedendo, i suoi mori vengono in aiuto di lui ed assalgono Enea)
 ENEA
 Venga tutto il tuo regno.
 IARBA
 Difenditi, se puoi.
 ENEA
                                    Non temo, indegno. (I compagni d’Enea scendono in aiuto di lui ed attaccano i mori. Enea e Iarba combattendo entrano. Siegue zuffa fra i troiani e i mori. I mori fuggono e gli altri li sieguono. Escono di nuovo combattendo Enea e Iarba che cade)
 Già cadesti e sei vinto. O tu mi cedi
1045o trafiggo quel core.
 IARBA
                                       Invan lo chiedi.
 ENEA
 Se al vincitor sdegnato
 non domandi pietà...
 IARBA
                                         Siegui il tuo fato.
 ENEA
 Sì, mori... Ma che fo? No, vivi. Invano
 tenti il mio cor con quell'insano orgoglio.
1050No; la vittoria mia macchiar non voglio. (Parte)
 IARBA
 Son vinto sì ma non oppresso. Almeno
 oggetto all'ire tue, sorte incostante,
 Iarba sol non sarà.
 
    La caduta d'un regnante
1055tutto un regno opprimerà. (Parte)
 
 SCENA III
 
 Arborata tra la città e il porto.
 
 OSMIDA solo
 
 OSMIDA
 Già di Iarba in difesa
 lo stuol de' mori a queste mura è giunto.
 Ecco vicino il punto
 della grandezza mia. D'essere infido
1060ad una donna ingrata
 no, non sento rossor. Così punisco
 l'ingiustizia di lei che mai non diede
 un premio alla mia fede.
 
 SCENA IV
 
 IARBA frettoloso, con seguito, e detto
 
 IARBA
 Seguitemi, o compagni;
1065alla reggia, alla reggia. (Passa davanti Osmida senza vederlo)
 OSMIDA
                                            Odi, signore;
 le tue schiere son pronte; è tempo alfine
 che vendichi i tuoi torti.
 IARBA
                                               Amici, andiamo; (Senza dare orecchio ad Osmida)
 non soffre indugi il mio furor. (In atto di partire)
 OSMIDA
                                                          T'arresta.
 IARBA
 Che vuoi? (Con isdegno)
 OSMIDA
                       Deh non scordarti
1070che deve alla mia fede
 l'amor tuo vendicato una mercede.
 IARBA
 È giusto; anzi preceda
 la tua mercede alla vendetta mia.
 OSMIDA
 Generoso monarca...
 IARBA
                                        Olà, costui
1075si disarmi, s'annodi e poi s'uccida. (In atto di partire)
 OSMIDA
 Come! Questo ad Osmida?
 Qual ingiusto furore...
 IARBA
 Quest'è il premio dovuto a un traditore. (Parte seguito da’ suoi, a riserva di pochi che restano ad eseguire il comando)
 
 SCENA V
 
 ENEA con seguito di troiani e detti
 
 ENEA
 Siam tutti alfin raccolti. Alcun non manca (Uscendo Enea fuggono i mori e lasciano legato ad un albero Osmida)
1080de' dispersi compagni. E ben si tronchi
 ogni dimora alfin. Sereno è il cielo;
 l'aure e l'onde son chiare;
 alle navi, alle navi; al mare, al mare.
 OSMIDA
 Invitto eroe.
 ENEA
                          Che avvenne?
 OSMIDA
                                                      In questo stato
1085Iarba, il barbaro re...
 ENEA
                                         Comprendo. Amici,
 si ponga Osmida in libertà. (I troiani vanno a sciogliere Osmida) (L'indegno
 da chi men può sperarlo abbia soccorso
 ed apprenda virtù dal suo rimorso).
 OSMIDA
 Ah lascia, eroe pietoso, (S’inginocchia)
1090che grato a sì gran don...
 ENEA
                                               Sorgi ed altrove
 rivolgi i passi tuoi.
 OSMIDA
 Grato a virtù sì rara...
 ENEA
 Se grato esser mi vuoi,
 ad esser fido un'altra volta impara.
 OSMIDA
 
1095   Quando l'onda, che nasce dal monte,
 al suo fonte ritorni dal prato,
 sarò ingrato a sì bella pietà.
 
    Fia del giorno la notte più chiara,
 se a scordarsi quest'anima impara
1100di quel braccio che vita mi dà. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 ENEA e SELENE frettolosa
 
 ENEA
 Principessa, ove corri?
 SELENE
                                            A te. M'ascolta.
 ENEA
 Se brami un'altra volta
 rammentarmi l'amor, t'adopri invano.
 SELENE
 Ma che farà Didone?
 ENEA
                                         Al partir mio
1105manca ogni suo periglio.
 La mia presenza i suoi nemici irrita.
 Iarba al trono l'invita;
 stenda a Iarba la destra e si consoli. (In atto di partire)
 SELENE
 Senti; se a noi t'involi,
1110non sol Didone, ancor Selene uccidi.
 ENEA
 Come?
 SELENE
                 Dal dì ch'io vidi il tuo sembiante,
 celai timida amante
 l'amor mio, la mia fede;
 ma vicina a morir chiedo mercede,
1115mercé, se non d'amore,
 almeno di pietà, mercé...
 ENEA
                                                Selene,
 ormai più del tuo foco
 non mi parlar né degli affetti altrui.
 Non più amante qual fui, guerriero or sono.
1120Torno al costume antico.
 Chi trattien le mie glorie è mio nemico.
 
    A trionfar mi chiama
 un bel desio d'onore;
 e già sopra il mio core
1125comincio a trionfar.
 
    Con generosa brama,
 fra i rischi e le ruine,
 di nuovi allori il crine
 io volo a circondar. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 SELENE sola
 
 SELENE
1130Sprezzar la fiamma mia,
 togliere alla mia fede ogni speranza
 esser vanto potria di tua costanza;
 ma se né pur consenti
 che sfoghi i suoi tormenti un core amante,
1135ah! sei barbaro, Enea, non sei costante.
 
    Io d'amore, oh dio! mi moro
 e mi niega il mio tiranno
 anche il misero ristoro
 di lagnarmi e poi morir.
 
1140   Che costava a quel crudele
 l'ascoltar le mie querele
 e donare a tanto affanno
 qualche tenero sospir! (Parte)
 
 SCENA VIII
 
  Reggia con veduta della città di Cartagine in prospetto che poi s’incendia.
 
 DIDONE e poi OSMIDA
 
 DIDONE
 
    Va crescendo il mio tormento;
1145io lo sento e non l'intendo;
 giusti dei, che mai sarà!
 
 OSMIDA
 Deh regina, pietà!
 DIDONE
                                    Che rechi, amico?
 OSMIDA
 Ah no, così bel nome
 non merta un traditore,
1150d'Enea, di te nemico e del tuo amore.
 DIDONE
 Come!
 OSMIDA
                Con la speranza
 di posseder Cartago,
 m'offersi a Iarba; ei m'accettò; si valse
 finor di me; poi per mercé volea
1155l'empio svenarmi; e mi difese Enea.
 DIDONE
 Reo di tanto delitto hai fronte ancora
 di presentarti a me?
 OSMIDA
                                        Sì, mia regina. (S’inginocchia)
 Tu vedi un infelice
 che non spera il perdono e nol desia;
1160chiedo a te per pietà la pena mia.
 DIDONE
 Sorgi. Quante sventure!
 Misera me, sotto qual astro io nacqui!
 Manca ne' miei più fidi...
 
 SCENA IX
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
                                                 Oh dio, germana!
 Alfine Enea...
 DIDONE
                            Partì?
 SELENE
                                          No, ma fra poco
1165le vele scioglierà da' nostri lidi.
 Or ora io stessa il vidi
 verso i legni fugaci
 sollecito condurre i suoi seguaci.
 DIDONE
 Che infedeltà! Che sconoscenza! Oh dei!
1170Un esule infelice...
 Un mendico stranier... Ditemi voi
 se più barbaro cor vedeste mai?
 E tu, cruda Selene,
 partir lo vedi ed arrestar nol sai?
 SELENE
1175Fu vana ogni mia cura.
 DIDONE
 Vanne, Osmida; e procura
 che resti Enea per un momento solo.
 M'ascolti; e parta.
 OSMIDA
                                    Ad ubbidirti io volo. (Parte)
 
 SCENA X
 
 DIDONE e SELENE
 
 SELENE
 Ah non fidarti; Osmida
1180tu non conosci ancor.
 DIDONE
                                         Lo so purtroppo.
 A questo eccesso è giunta
 la mia sorte tiranna;
 deggio chiedere aita a chi m'inganna.
 SELENE
 Non hai, fuor che in te stessa, altra speranza.
1185Vanne a lui, prega e piangi;
 chi sa, forse potrai vincer quel core.
 DIDONE
 Alle preghiere, ai pianti
 Dido scender dovrà! Dido che seppe
 dalle sidonie rive
1190correr dell'onde a cimentar lo sdegno,
 altro clima cercando ed altro regno!
 Son io, son quella ancora
 che di nuove cittadi Africa ornai,
 che il mio fasto serbai
1195fra le insidie, fra l'armi e fra i perigli;
 ed a tanta viltà tu mi consigli?
 SELENE
 O scordati il tuo grado
 o abbandona ogni speme.
 Amore e maestà non vanno insieme.
 
 SCENA XI
 
 ARASPE e dette
 
 DIDONE
1200Araspe in queste soglie! (Si cominciano a veder fiamme in lontananza sugli edifizi di Cartagine)
 ARASPE
                                               A te ne vengo
 pietoso del tuo rischio. Il re sdegnato
 di Cartagine i tetti arde e ruina.
 Vedi, vedi, o regina,
 le fiamme che lontane agita il vento.
1205Se tardi un sol momento
 a placare il suo sdegno,
 un sol giorno ti toglie e vita e regno.
 DIDONE
 Restano più disastri
 per rendermi infelice?
 SELENE
                                            Infausto giorno!
 
 SCENA XII
 
 OSMIDA e detti
 
 DIDONE
1210Osmida.
 OSMIDA
                   Arde d'intorno...
 DIDONE
 Lo so; d'Enea ti chiedo.
 Che ottenesti da Enea?
 OSMIDA
                                             Partì. Lontano
 è già da queste sponde. Io giunsi appena
 a ravvisar le fuggitive antenne.
 DIDONE
1215Ah stolta! Io stessa, io sono
 complice di sua fuga. Al primo istante
 arrestar lo dovea. Ritorna, Osmida;
 corri, vola sul lido; aduna insieme
 armi, navi, guerrieri;
1220raggiungi l'infedele,
 lacera i lini suoi, sommergi i legni;
 portami fra catene
 quel traditore avvinto;
 e, se vivo non puoi, portalo estinto.
 OSMIDA
1225Tu pensi a vendicarti e cresce intanto
 la sollecita fiamma.
 DIDONE
                                      È ver, corriamo.
 Io voglio... Ah no... Restate...
 Ma la vostra dimora...
 Io mi confondo... E non partisti ancora?
 OSMIDA
1230Eseguisco i tuoi cenni. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 DIDONE, SELENE, ARASPE
 
 ARASPE
                                             Al tuo periglio
 pensa, o Didone.
 SELENE
                                  E pensa
 a ripararne il danno.
 DIDONE
 Non fo poco s'io vivo in tanto affanno.
 Va' tu, cara Selene;
1235provvedi, ordina, assisti in vece mia.
 Non lasciarmi, se m'ami, in abbandono.
 SELENE
 Ah che di te più sconsolata io sono! (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 DIDONE ed ARASPE
 
 ARASPE
 E tu qui resti ancor? Né ti spaventa
 l'incendio che s'avanza?
 DIDONE
1240Perduta ogni speranza,
 non conosco timor. Ne' petti umani
 il timore e la speme
 nascono in compagnia, muoiono insieme.
 ARASPE
 Il tuo scampo desio. Vederti esposta
1245a tal rischio mi spiace.
 DIDONE
 Araspe, per pietà lasciami in pace. (Araspe parte)
 
 SCENA XV
 
 DIDONE, poi OSMIDA
 
 DIDONE
 I miei casi infelici
 favolose memorie un dì saranno;
 e forse diverranno
1250soggetti miserabili e dolenti
 alle tragiche scene i miei tormenti.
 OSMIDA
 È perduta ogni speme.
 DIDONE
 Così presto ritorni?
 OSMIDA
                                       Invano, oh dio!
 tentai passar dal tuo soggiorno al lido;
1255tutta del moro infido
 il minaccioso stuol Cartago inonda.
 Fra le strida e i tumulti
 agl'insulti degli empi
 son le vergini esposte, aperti i tempi;
1260né più desta pietade
 o l'immatura o la cadente etade.
 DIDONE
 Dunque alla mia ruina
 più riparo non v'è? (Si comincia a vedere il fuoco nella reggia)
 
 SCENA XVI
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
                                       Fuggi, o regina.
 Son vinti i tuoi custodi;
1265non ci resta difesa.
 Dalla cittade accesa
 passan le fiamme alla tua reggia in seno
 e di fumo e faville è il ciel ripieno.
 DIDONE
 Andiam. Si cerchi altrove
1270per noi qualche soccorso.
 OSMIDA
                                                E come?
 SELENE
                                                                  E dove?
 DIDONE
 Venite, anime imbelli;
 se vi manca valore,
 imparate da me come si muore.
 
 SCENA XVII
 
 IARBA con guardie e detti
 
 IARBA
 Fermati.
 DIDONE
                    Oh dei!
 IARBA
                                     Dove così smarrita?
1275Forse al fedel troiano
 corri a stringer la mano?
 Va' pure, affretta il piede,
 che al talamo reale ardon le tede.
 DIDONE
 Lo so, questo è il momento
1280delle vendette tue; sfoga il tuo sdegno
 or che ogni altro sostegno il ciel mi fura.
 IARBA
 Già ti difende Enea; tu sei sicura.
 DIDONE
 E ben sarai contento.
 Mi volesti infelice? Eccomi sola,
1285tradita, abbandonata,
 senza Enea, senza amici e senza regno.
 Debole mi volesti? Ecco Didone
 ridotta alfine a lagrimar. Non basta?
 Mi vuoi supplice ancor? Sì, de' miei mali
1290chiedo a Iarba ristoro;
 da Iarba per pietà la morte imploro.
 IARBA
 (Cedon gli sdegni miei).
 SELENE
 (Giusti numi, pietà!)
 OSMIDA
                                          (Soccorso, o dei!)
 IARBA
 E pur, Didone, e pure
1295sì barbaro non son qual tu mi credi.
 Del tuo pianto ho pietà; meco ne vieni.
 L'offese io ti perdono
 e mia sposa ti guido al letto e al trono.
 DIDONE
 Io sposa d'un tiranno,
1300d'un empio, d'un crudel, d'un traditore
 che non sa che sia fede,
 non conosce dover, non cura onore?
 S'io fossi così vile,
 saria giusto il mio pianto.
1305No, la disgrazia mia non giunse a tanto.
 IARBA
 In sì misero stato insulti ancora!
 Olà, miei fidi, andate;
 s'accrescano le fiamme. In un momento
 si distrugga Cartago; e non vi resti
1310orma d'abitator che la calpesti. (Partono due guardie)
 SELENE
 Pietà del nostro affanno!
 IARBA
 Or potrai con ragion dirmi tiranno.
 
    Cadrà fra poco in cenere
 il tuo nascente impero
1315e ignota al passeggiero
 Cartagine sarà.
 
    Se a te del mio perdono
 meno è la morte acerba,
 non meriti, superba,
1320soccorso né pietà. (Parte)
 
 SCENA XVIII
 
 DIDONE, SELENE ed OSMIDA
 
 OSMIDA
 Cedi a Iarba, o Didone.
 SELENE
 Conserva con la tua la nostra vita.
 DIDONE
 Solo per vendicarmi
 del traditore Enea,
1325che è la prima cagion de' mali miei,
 l'aure vitali io respirar vorrei.
 Ah! Faccia il vento almeno,
 facciano almen gli dei le mie vendette.
 E folgori e saette
1330e turbini e tempeste
 rendano l'aure e l'onde a lui funeste.
 Vada ramingo e solo; e la sua sorte
 così barbara sia
 che si riduca ad invidiar la mia.
 SELENE
1335Deh modera il tuo sdegno. Anch'io l'adoro
 e soffro il mio tormento.
 DIDONE
                                               Adori Enea!
 SELENE
 Sì, ma per tua cagione...
 DIDONE
                                               Ah disleale!
 Tu rivale al mio amor?
 SELENE
                                            Se fui rivale,
 ragion non hai...
 DIDONE
                                 Dagli occhi miei t'invola;
1340non accrescer più pene
 ad un cor disperato.
 SELENE
 (Misera donna, ove la guida il fato!) (Parte)
 
 SCENA XIX
 
 DIDONE ed OSMIDA
 
 OSMIDA
 Crescon le fiamme e tu fuggir non curi?
 DIDONE
 Mancano più nemici? Enea mi lascia,
1345trovo Selene infida,
 Iarba m'insulta e mi tradisce Osmida.
 Ma che feci, empi numi? Io non macchiai
 di vittime profane i vostri altari;
 né mai di fiamma impura
1350feci l'are fumar per vostro scherno.
 Dunque perché congiura
 tutto il ciel contro me, tutto l'inferno?
 OSMIDA
 Ah pensa a te; non irritar gli dei.
 DIDONE
 Che dei? Son nomi vani,
1355son chimere sognate o ingiusti sono.
 OSMIDA
 (Gelo a tanta empietade e l'abbandono). (Parte. Poco dopo si
 vedono cadere alcune fabbriche e dilatarsi le fiamme nella
 reggia)
 
 SCENA ULTIMA
 
 DIDONE
 
 DIDONE
 Ah che dissi, infelice! A qual eccesso
 mi trasse il mio furore?
 Oh dio, cresce l'orrore! Ovunque io miro,
1360mi vien la morte e lo spavento in faccia;
 trema la reggia e di cader minaccia.
 Selene, Osmida! Ah! Tutti,
 tutti cedeste alla mia sorte infida;
 non v'è chi mi soccorra o chi m'uccida.
 
1365   Vado... Ma dove? Oh dio!
 Resto... Ma poi... che fo?
 Dunque morir dovrò
 senza trovar pietà?
 
 E v'è tanta viltà nel petto mio?
1370No no, si mora; e l'infedele Enea
 abbia nel mio destino
 un augurio funesto al suo cammino.
 Precipiti Cartago,
 arda la reggia; e sia
1375il cenere di lei la tomba mia. (Dicendo l’ultime parole corre Didone a precipitarsi disperata e furiosa nelle ardenti ruine della reggia; e si perde fra i globi di fiamme, di faville e di fumo che si sollevano alla sua caduta. Nel tempo medesimo su l’ultimo orizzonte comincia a gonfiarsi il mare e ad avanzarsi lentamente verso la reggia, tutto adombrato al di sopra da dense nuvole e secondato dal tumulto di strepitosa sinfonia. Nell’avvicinarsi all’incendio, a proporzione della maggior resistenza del fuoco, va crescendo la violenza delle acque. Il furioso alternar dell’onde, il frangersi ed il biancheggiar di quelle nell’incontro delle opposte ruine, lo spesso fragor de’ tuoni, l’interrotto lume de’ lampi e quel continuo muggito marino, che suole accompagnar le tempeste, rappresentano l’ostinato contrasto dei due nemici elementi. Trionfando finalmente per tutto sul fuoco estinto le acque vincitrici, si rasserena improvvisamente il cielo, si dileguano le nubi, si cangia l’orrida in lieta sinfonia; e dal seno dell’onde già placate e tranquille sorge la ricca e luminosa reggia di Nettuno. Nel mezzo di quella assiso nella sua lucida conca, tirata da mostri marini e circondata da festive schiere di nereidi, di sirene e di tritoni, comparisce il nume che appoggiato al gran tridente parla nel seguente tenore)
 
 
 LICENZA
 
 NETTUNO
 Se alla discordia antica
 ritornar gli elementi, astri benigni
 del ciel d'Iberia, in questo dì vedete,
 non vi rechi stupor. Di merto eguali,
1380bella gara d'onor ci fa rivali.
 Se l'emulo Vulcano
 qui degl'incendi suoi
 fa spettacolo a voi, per qual cagione
 dovrà sì nobil peso
1385a me nume dell'acque esser conteso?
 Perché ceder dovrei? S'ei tuona in campo
 talor da' cavi bronzi,
 dell'ira vostra esecutor fedele,
 della vostra giustizia
1390fedele ognora esecutore anch'io
 porto a' mondi remoti
 le vostre leggi; e ne riporto i voti.
 Onde a ragion pretesi
 parte alla gloria; onde a ragion costrinsi
1395nell'illustre contesa
 a fremer le procelle in mia difesa.
 
    Tacete, o mie procelle,
 di questo soglio al piè,
 or che il rivale a me
1400cedé la palma.
 
    E dell'ibere stelle
 al fausto balenar
 tutti i regni del mar
 tornino in calma.
 
 FINE